Ci sono delle realtà a Milano che restano invariate negli anni:
garantiscono qualità, selezione e situazioni underground. Questo è forse
il motivo per il quale Havoc - voce e produttore deiMobb Deep - questo sabato ha varcato i cancelli del Leoncavallo invadendo il palco e intrattenendo con hit simboliche per la radice del genere. Prima dell’atteso ospite la qualità del live è stata garantita da Dj Skizo, che – con notevole maestria – ha accompagnato i microfoni di Mirko Miro, Kanaglia e Overflow,
artisti giovani ma ben consapevoli di come ci si muove su un palco.
Hanno cantato per più di un’ora con un tiro degno del calore del sud,
dando fuoco su microfoni sapienti e flow taglienti portando concetti di libertà, protesta, ma anche vita e amore, senza mai cadere nel banale. Il tutto condito dal migliore beatboxerche l’italia ha da proporre: Overflow
(ex. B. Road) capace di ripetere effetti sonori e simulare scratch,
grancassa e rullante, con toni di una potenza d-e-v-a-s-t-a-n-t-e.
Abilità artistica supportata dalla resistenza fisica di un peso leggero,
dall’ attitudine timida ma determinata. Nel momento più atteso – da
molti – Dj Gruff propone le sue
sperimentazioni artistiche su una consolle lunga quanto tutto il palco,
accompagnato da uno strumentalista abile sul piano quanto con i fiati.
E poi arriva lui… Havoc, che sin dall’inizio infonde
un senso di vuoto e di potenza nella sala, accompagnato dal dj e privo
di voce spalla, intrattiene ripetendo“Word up!” con hit che in
pochi conoscono ma che tutti rispettano. Questa è musica (anche) nel
2013, questo è il suono che si espande fino al cortile popolatissimo del
Leoncavallo. Diverse canzoni portano alto il nome di Nate Dogg,
scomparso nel 2011 per motivi di salute. Il ritmo è talmente serrato
che non c’è canzone che sfuma ma interruzioni nette del dj che con
arroganza stoppa la base e parte con la successiva, dopo minuti di flow
costante. Ci sentiamo tutti un pò di Queensbridge tra fumi abbaglianti e
luci soffuse. Perfetta la chiusura con i Guess nostrani riuniti sul palco, sotto la simulata cassa pesante di Overflow.
In un periodo di ampia proposta musicale, spesso accompagnata da qualità bassa o saltuaria, gli appassionati del genere possono scorgere un filo di luce, un attimo di respiro, alimentato da grandi nomi.
È iniziato il tour di Guè Pequeno che entro fine anno lo vedrà portare nelle principali città italiane il suo secondo progetto da solista “Bravo Ragazzo”. Milano è la città di partenza, dove ieri abbiamo assistito alla prima tappa del tour.
Si respira l’atmosfera da concerto già dal casello di Trezzo
sull’Adda, dove file di auto con tipe armate di New Era, pompano i bassi
sull’ultimo album di Guè Pequeno. La location del Live Club, piccola e riservata, accoglie molti ragazzi dalla giovane età e qualche amante un pò più maturo.
Nella mezz’ora di attesa le casse espandono suoni del passato come Breath di Fabolouse o Get Ur Freak On di Missy Elliott,
per molti canzoni estranee alla loro generazione per pochi singoli
evergreen. Alle 23.30 parte l’impazienza, espressa da un unico coro che
in loop ripete G-U-E, il quale – senza farsi troppo
pregare – sale sul palco e inizia lo show con uno dei pezzi più Easy
(boy) dell’album, affiancato da Jack La Furia (presenza che in molti mettevano in dubbio vista la sensazione di atrito che si percepisce nel gruppo).
Guè, con il petto duro e lo sguardo tagliente, non perde un colpo e
percorre velocemente le hit del passato su beat rivisitati e arrangiati
da DJ JAY-K. Le mani sono al cielo, in molti saltano,
le ragazze urlano e la musica travolge accompagnata da Cosimo che
coinvolge gli spettatori ma anche i soci dietro le quinte, tra
l’incazzoso e il riservato ma pur sempre responsabile della sua
posizione di maestro di cerimonia. Diversi i pezzi che sfumano sottolineando l’assenza di voci come quelle di Caneda eNtò, mentre sul ritornello fondamentale della bellissima Arlissa
è l’impianto a fare le sue veci. Ma anche nei momenti deboli Guè non
demorde, tagliando corto e spingendo sull’acceleratore alternando a
pezzi da club le sue riflessioni più profonde puntando al cuore dalle
più vecchie “Ultimi giorni” e “All’ultimo respiro” alla più recente: “Scappati di casa”.
L’apice dovrebbe avvenire con la salita sul palco di Marracash
che invece sembra combattere con la mancanza di energia – o di
entusiasmo – perdendo diverse strofe e sbagliando sull entrata di Brivido, dove si che il mondo fa troppo chiasso ma lui pronuncia poco più di una parola.. che peccato.
In chiusura un po’ di pubblicità al merchandising, qualche scratch ben
elaborato e molta ressa all’uscita dove l’emozione del live si rivive
nelle auto che lasciano il parcheggio a finestrini abbassati – se pur la
temperatura non lo conceda – espandendo nella nebbia le rime del
Ragazzo d’ Oro.